Voglio diventare una... CTO

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  • 2022-11-22 - 7 minuti
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Essere CTO è una sfida, non solo dal punto di vista tecnico: ha bisogno infatti di coordinare diversi team, essere una persona in grado di comunicare ed empatizzare, oltre che avere la giusta dose di creatività.

L’intervista di oggi è raccontata da Alessia Marelli, CTO @ DNAalgo.

Cosa vedrai

Descriviti in 100 parole

100 parole sono poche per descrivere una persona ma sono anche tante quando si devono scegliere accuratamente, ma ci proverò: sono Alessia, ho 42 anni e sono il Chief Technology Officer di una startup innovativa, la DNAalgo.

Sono una matematica applicata, perché mi è sempre piaciuto il lato creativo della matematica, quello che va a toccare la vita reale, per questo motivo ho voluto fare una tesi nell’industria dove sono rimasta.

Ho sempre amato le sfide e il confrontarmi con diverse persone perché sono convinta che ci sia sempre da imparare. Ho sempre avuto una grande curiosità che mi ha portato a provare approcci diversi ai problemi nel lavoro o nuove strategie e hobby differenti nella vita privata.

In cosa consiste il ruolo di CTO?

Come CTO mi occupo di tutta la parte tecnica della DNAalgo, cioè da un lato la roadmap e la linea di prodotti che la ditta vuole avere e dall’altro lato coordino l’attività del team che lavora con me.

Per capire la roadmap che la ditta vuole avere è importante essere attivi nel mondo della comunicazione: per esempio la DNAalgo è membro della DNA data storage alliance (ora parte della SNIA) che raccoglie un gruppo di aziende che stanno lavorando sulla memorizzazione dei dati su DNA sintetico, e in particolare io partecipo a meeting con l’alliance, parlo alle conferenze e cosi via.

Inoltre lavora con me un team di matematici e ingegneri e io mi occupo di coordinare le loro attività giornaliere, in base alle attitudini delle persone, alle urgenze e alle capacità o conoscenze.

Qual è la soft skill più importante che deve possedere una CTO?

Proprio per la duplice natura dell’attività mi piacerebbe identificare due soft skills.

Per la parte attiva verso le conferenze e l’alliance direi che la soft skill più importante è la comunicazione. Ovviamente non parlo semplicemente del parlare bene in inglese dato che tutta quest’attività è svolta in inglese ma della capacità di capire il tono appropriato da usare, considerando che parlando a livello internazionale ci sono molte nazioni e quindi molte culture diverse, le parole giuste da usare e quando intervenire o meno.

Quando invece organizzo le attività del team, credo che la soft skill più importante sia l’empatia. Nell’assegnare le attività, bisogna capire anche come le persone reagiscono alla pressione o se ci sono dei conflitti non dichiarati all’interno del team per esempio.

La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.

Questa domanda mi piace molto, perché sono convinta che siano proprio gli errori il principale motore per la crescita di una persona. Una volta si diceva che non è importante quante volte si cade ma quante volte ci si rialza e io credo sia proprio così.

Circa una decina di anni fa lavoravo in questa grande ditta che aveva parecchi team. Il mio team e un altro sono entrati in competizione su un progetto tecnico. Per alcune settimane si sono confrontate le soluzioni per vedere quale delle due era più adatta alla ditta, attraverso meeting e telefonate.

Alla fine è stata scelta la soluzione dell’altro team, non perché fosse tecnicamente superiore ma perché erano stati in grado di comunicarla in modo più efficace.

Da allora ho capito che per promuovere i propri progetti, non basta avere un’idea tecnicamente superiore ma bisogna lavorare sulla comunicazione ed essere in grado di trasmettere le proprie idee in modo efficace, possibilmente mostrando i vantaggi e lo scopo finale e non perdendosi in dettagli tecnici.

Come fare per diventare una CTO?

Non occorrono certificazioni ma di certo occorre molta esperienza nel particolare ambito tecnico in cui si vuole diventare CTO. La DNAalgo per esempio sviluppa IP molte centrate sui codici a correzioni di errore e io lavoro sui codici da circa 20 anni.

Sicuramente come esperienza pregressa mi ha fatto comodo essere stata technical leader in cui ho gestito un progetto da un punto di vista tecnico anche se allora erano coinvolte meno persone. Inoltre per migliorare la capacità di comunicazione mi è stato utile lavorare per tanti anni in aziende multinazionali dove mi sono interfacciata spesso con culture diverse.

Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?

Come CTO di una startup innovativa, il mio destino è strettamente legato a quello della società.

Come ruolo penso di essere approdata nel ruolo giusto per me anche per i prossimi anni, ma ovviamente volendo sempre migliorare, vorrei avere più progetti, un team sempre maggiore, più visibilità e più collaborazioni. In qualche modo come la DNAalgo che è nata 18 mesi fa sta crescendo, io sto crescendo con essa, per cui come la società aumeterà in numero e progetti, il mio ruolo diventerà sempre più complesso e spero appagante.

Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, come fare per superarlo?

Essendo mamma di tre bambine femmine e lavorando nel campo scientifico è un tema che mi sta particolarmente a cuore.

Purtroppo credo che le bambine e poi le ragazze siano poco incentivate nel campo scientifico. Mi sono accorta che
in qualche modo viene proposto un modello dove le bambine devono essere interessate alle bambole e alla cucina, mentre i giochi più “scientifici” come i vulcani o i minerali siano appannaggio dei maschi.

Questo avviene sia come pubblicità sia nella grande distribuzione. D’altronde il modello di scienziato o programmatore molto spesso è un maschio nell’immaginario collettivo, e viene lasciato solo l’insegnamento alle donne scienziate. Come mamma combatto contro queste stereotipo, mostrando tutte queste attività alle mie figlie e parlando loro dei modelli di donne scienziate.

Come professionista non ho mai vissuto una reale discriminazione, ma è vero che la percentuale di donne è sempre stata ben lontana dal 50%.

Per promuovere la rete di donne tecniche ho partecipato ad associazioni di donne scienziate che seguo anche sui forum o a conferenze. Inoltre ho seguito delle tesi in azienda di ragazze e recentemente ho assunto una ragazza molto brava.

Inoltre, anni fa ho tenuto corsi di orientamento nelle scuole, mi è piaciuto mettere la faccia e mostrare come una persona donna e matematica sia potuta entrare nell’industria in posizioni di rilievo.

C’è ancora molto da fare, purtroppo ci sono donne che pensano di doversi annullare come genere per poter fare carriera, invece io penso che il valore sia proprio anche l’essere donna e portare una sensibilità diversa in questo ambito tipicamente maschile.

Come ho detto prima, dalla diversità ci si può sempre arricchire e questo situazione non è da meno.

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